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Fatih Mika  
 
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Ott
01
2007
Vivere

 
E’ una giornata rovente d’estate quando non si muove una foglia, mia madre ha steso per terra la trapunta color rubino e la sta coprendo con un lenzuolo , quella trapunta imbottita con il cotone che il cardatore, accovacciandosi nell’ombra del gelso, ha gonfiato usando il suo arco con la corda tesa che tintinna sotto i colpi del martello e che ha disegni bombati ottenuti con le forme tagliate di cartone.
 Mia madre alza la testa dal lenzuolo e mi guarda, da quel lenzuolo che ha avvolto la nostra gioia, le nostre lacrime di tristezza, i nostri sogni, il nostro sudore, la nostra passione, la nostra intimità, quel lenzuolo che ha avvolto il nostro essere ed anche gli esseri che abbiamo creato. Sembra perplessa, indica le mie incisioni appese sui muri e chiede  “Fatih, ma tu ti manterrai con queste?”
 
Dentro agli occhi di mia madre, verdi come le acque di un lago, ci sono tanti ciottoli colorati del mare.
 
Ho appena finito l’Accademia delle Belle Arti e sono tornato nel mio paese che non vedevo ormai da cinque anni. Mi ricordo di aver risposto di “sì” dentro di me, ma non mi ricordo quello che ho detto a mia madre.
 
In verità, io già “vivo” con le incisioni, quello che mia madre intende dire invece è “mantenersi”.
 
Cospargo le lastre di zinco con polvere di colofonia di un giallo brillante. Anche se riesco sempre a calcolare con precisione la quantità di nuvole di resina gialla che deve depositarsi sullo zinco, non riesco mai a calcolare quella che finisce nei miei polmoni e mentre le bollicine di acido nitrico gorgogliano e scavano le lastre di zinco trasformandole nelle incisioni, anch’io sono scavato dentro e fuori diventando un’incisione. Se mi scappano dalla bocca due parole, è perché non riesco a trattenerle a causa di quei buchi, se riesco a lasciare segni sulla carta, è perché i residui di inchiostro hanno riempito i buchi.
 
Oggi è domenica. Domani parto per Istanbul. Metto via le incisioni nei raccoglitori, pulisco lo studio e sistemo sugli scaffali i materiali che non devono rimanere per terra sotto i piedi. All’improvviso mi trovo faccia a faccia con la prova di stampa  che raffigura mia madre. Con quanta pazienza avevo preparato la lastra di rame, come l’avevo lavorata lentamente con il brunitoio rivelando i contorni del suo viso. Gli occhi, le palpebre, il naso, le labbra, la fronte, le guance di mia madre... l’odore di carta bagnata, trementina, diluente, petrolio, inchiostro... E il fatto che non riesco mai a finire il ritratto di mia madre...
 
In quel momento sento la sua voce: “Fatih non ingannarmi per favore! Chi sa quante incisioni hai finito negli ultimi tempi! Se avessi voluto, avresti già finito il mio ritratto oramai. Tu però vuoi continuare a guardarmi negli occhi, accarezzare le mie guance, sentire due parole dalle mie labbra. E’ questo il motivo per il quale non riesci mai a completarmi... L’incisione è come l’amore, per incominciare una nuova storia, devi dimenticare quella vecchia! Dai, posa un colombo nell’angolo destro in alto, così sarà finita anche questa incisone e partiamo insieme per Istanbul”.
 
Fatih Mika, ottobre 2007 Roma
 
Tradotto da Lale Gursel